Se ce l'ha fatta Medellin cià putimu fa' puru nua!

il Quotidiano del Sud, edizione di Cosenza, 5 aprile 2015

Ai chen ghetto satisfecscion
di Massimo Celani


Un giornalista del TG3 localizza l’omicidio di un giovane cosentino in un “quartiere ghetto” della città e quella parte di città insorge. Dice un famoso proverbio che «quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito». E non che sia sbagliato in sé guardare il dito: è pur sempre una costruzione sociale, si direbbe mediale, riflettere sul dito che indica il reale, sul processo di ‘messa in forma' contenuto nell'indicare, gesto contingente e contestuale senza il quale la luna (e forse pure l’omicidio) nemmeno esisterebbe. Resta però una sensazione di straniamento, provocata dallo spostare la mira: evidentemente una locuzione abusata, un aggettivo autoadesivo (“quartiere-ghetto”), punge più della preoccupazione per la recrudescenza di fatti di tale violenza. Vien da dire, non abbiamo già dato in tal senso? Chi scrive è abbastanza avanti negli anni da ricordare quelli plumbei dove ci si sparava in quello e in altri quartieri-ghetto, come pure nel centro cittadino.


Non essendo né urbanista né sociologo, provo a individuare qualche elemento utile a contestualizzare. Ero molto più giovane, credo fossero gli anni ’90, ma ricordo un intervento di riqualificazione urbana proprio in quel quartiere. Non tutto certo, mi sembra interessasse solo le case popolari nelle vicinanze della sopraelevata. Ne ho ricordo perché credo che il mio papà e mio fratello facessero parte del team di progettazione. Fogne, illuminazione pubblica, qualche giardinetto, marciapiedi, un piano colore per le palazzine che suscitò qualche discussione. L’intervento, per quanto modesto e limitato, è importante perché rese possibile l’accesso ai fondi Urban della giunta Mancini. Altrimenti detto, costituiva un precursore credibile (oggi si direbbe “pre-condizione”, ma sullo statuto logico di quel “pre” preferisco tacere) di una amministrazione comunale sensibile alla riqualificazione urbana. Così anche la città vecchia poté divenire un po’ meno ghetto. La seconda (o terza) puntata (ripeto, detto da cittadino semplice e non da specialista di cose così complesse) è rappresentata dal cosiddetto Viale Parco. Peccato per il rilevato ferroviario (che oggi sarebbe stato utilissimo), ma oggettivamente la rimozione di quell'ostacolo ha aperto, reso visibile, “includente” e collegabile, quel quartiere al resto della città. Restano ancora incontaminati gli ultimi lotti dello stesso quartiere e via via procedendo verso Nord e verso il fiume, ancora non toccati da un minimo di qualità architettonica. Si aggiungano gli stenti a far decollare – sul versante di Gergeri e S.Antonio dell’Orto - il Planetario e il ponte di Calatrava. 




Mi fermo, era solo un esercizio di memoria, di mappa mentale.
Ma cosa è ghetto in questa città e più in generale nelle città contemporanee? Centro e periferia appaiono categorie sempre più fallaci. A Cosenza poi l’equivoco è molto più evidente, se si considera che si usa chiamare centro storico una cosa che – nonostante gli sforzi e i riguardi in termini di luminarie, via degli artisti, temporary shop, etc. resta un quartiere-ghetto. Da qualche tempo son tornato ad abitare a Vadue: non è forse un ghetto? Certo è più facile usare qualche sinonimo, ad esempio “quartiere dormitorio”. Ma senza l’Amaco, senza servizi, Carolei e Cosenza equidistanti, cosa altro è? E non s’immagina l’allarme provocato dall’annuncio di un prossimo intervento di edilizia sociale nei pressi dell’ex-pastificio Lecce. Allora verranno ad abitare qui – vicini a “noi” - Rom ed extra-comunitari? 


Panico generale e ghettizzazione preventiva. In fondo, direi – con Michele Serra – satira preventiva. Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor … e chi scrive si è sentito circondato da leghisti e razzisti invece che da tranquilli vicini di casa mediamente ospitali e democratici. Una mia amica consigliera comunale di opposizione si è spinta pure a teorizzare sulle ripercussioni in termini di deprezzamento della qualità architettonica. Come se i casermoni e le orribili ville di Vadue le avessero progettate Peter Eisenman o Mario Botta. Stesso discorso per Rende vecchia (sarei tentato di dire anche Rende nuova). Un dormitorio, un paese morto, se non proprio un ghetto. Ghetto è anche il centro di Cosenza. Palestra di bullismo per adolescenti borghesi, ignorantissimi e arroganti, adusi a molestare quei coetanei cingalesi o pakistani che vendono le rose. Basterà chiedere alla giovane direttrice della Ubik, costretta a intervenire quasi tutti i giorni al fine di far ragionare gli orribili cosentinazzi.


Un tempo era in auge anche il verbo “ghettizzare” e la politica (Salvini a parte) dovrebbe esercitarsi nel suo inverso. La cosa è possibile e ce lo dimostra, anche se a molti chilometri di distanza, Medellin. La città colombiana che fino a dieci anni fa aveva il record degli omicidi.   





Sergio Fajardo Valderrama, attualmente “Gobernador de Antioquia”, dal 2004 al 2007 l’ha amministrata da sindaco.

Quasi il 40% del bilancio comunale viene immediatamente destinato all'istruzione e alla cultura, vengono costruite dozzine di scuole, 10 biblioteche, un parco della scienza e un nuovo giardino botanico. Nel 2004 c’erano aule per 8.000 studenti, nel 2007 le aule erano in grado di accoglierne 33.000.
Il numero dei poliziotti raddoppiato e inseriti in corsi di formazione su etica e diritti umani.
Le nuove strutture nascono tutte nei quartieri più poveri della città con progetti affidati ad architetti locali. Vengono ripavimentate molte strade e create decine di parchi verdi.
Il rinnovamento è così “decentrato” che su alcuni nuovi palazzi sorti in periferia spuntano striscioni con scritto: “Le vostre tasse sono qui!”.
Ovviamente viene realizzata anche una funivia che, per la prima volta, collega la città con le favelas.

Un caso esemplare di politiche pubbliche raccontato da Stefano Boeri e Manuel Orazi, oltre che da molti altri studiosi della trasformazione urbana.  Son bastate poche idee chiare del sindaco Fajardo Valderrama (un matematico):
 “… bisogna accompagnare la riorganizzazione della città con un solido sostegno sociale, ovvero costruire più opportunità, altrimenti tutti i progressi raggiunti si perderanno nel giro di poco tempo. Ad esempio, se inviamo la polizia a ripulire un quartiere malfamato occorre aprire lo stesso giorno e nello stesso luogo una scuola, una biblioteca, un ufficio di collocamento e un’agenzia di microcredito per mostrare che un’alternativa possibile esiste o i fermati dalla polizia torneranno a delinquere il giorno dopo.”

Hanno fatto il resto le statue di Fernando Botero, la costruzione di decine di nuove biblioteche e scuole, il recupero delle strade e delle piazze tradizionalmente lasciate in mano al controllo dei narcotrafficanti. E l’indice degli omicidi è sceso drasticamente. Oggi è possibile andare a Medellin. Mi raccomando, solo per turismo.

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