essere svegli rispetto al dolore
31 agosto
2007
di Massimo Celani
Questo articolo è
pornografico. E non vuole essere un attacco ad effetto. Vale come avvertenza –
da porre in testa e non in coda – allo stesso corpo di quanto segue e non alla
grandezza infinitesima delle pubblicità farmaceutiche. Correttezza vuole che lo
si dica subito, a voce alta e lentamente: qui si parla di pornografia. Se
l’articolo non dovesse interessare, il lettore è pregato di fermarsi qui, di
tornare a pagina due dove in alto a sinistra si potranno trovare parole rinfrescanti
e senza pretese, del tipo “in spiaggia torna l’hula hoop”. Oppure saltare
avanti, ma di parecchio. Perché da pagina quattro in poi c’è l’inferno, con cronache
di varia crudeltà.
***
Forse si potrebbe andare a pagina 12 a vedere se in basso c’è ancora quel
piedone pubblicitario, per ritemprarsi così nel campus di Germaneto. “La
cultura di fare e di imparare” dice lo slogan. Rileggo lentamente: la cultura
di fare e di imparare. Non è “l’imparare
facendo”, concetto nobilissimo da bottega rinascimentale, non è “la cultura del
fare” espressione abusata ma che sembra conservare (pur ricordando una vecchia
campagna elettorale del dott. Samengo) un minimo di senso. Si tratta di “la
cultura di fare e di imparare”. Una astrazione che niente significa e che nemmeno
suona bene. Per fortuna che – a caratteri piccoli – c’è poi l’elenco delle
strutture, dei corsi e delle attività (gli stage ad esempio, come se fossero
una tipicità di quella) che “permettono di vivere in maniera originale
l’università”. Certo come lingua italiana è piuttosto originale. Prima farò,
poi imparerò? O viceversa? Nella sequenza in cui sono enunciati sembrano passi
cognitivi buoni per performance alla Duisburg. Direttò, lo so è scorretto
strapazzare i nostri inserzionisti ma la Calabria brucia, fammi derogare.
***
Oppure bisognerà saltare alle pagine 16 e 17. Lì otto volte su dieci ci si
potrà rinfrancare. E’ la pagina dei nostri affezionati opinion makers, i nostri
commentatori del nulla. Hanno sempre una cosa da dire su tutto. Beati loro,
rispettosi di un obbligo che si sono autoassegnati. Chi invece è obbligato a
scrivere da un editore, 99 volte su 100 non ha niente da dire. Direttò, lo so è
scorretto strapazzare i nostri lettori ma la Calabria brucia, fammi derogare.
Sarebbe auspicabile che altri prendessero la parola, non sempre gli stessi
columnist sottovuoto spinto.
***
Dicevo, molte righe sopra, questo scritto è pornografico. Perché parla di
morte. Jean Baudrillard ce lo spiegò molto bene: la morte è la pornografia
della contemporaneità. In un’epoca in cui i ragazzini di dodici anni filmano
fellatio nei cessi di scuola e le sparano nel web, cosa crediamo sia
pornografico? In questa italietta del c**** il giurì di autodisciplina
pubblicitaria censura lo spot con Rocco Siffredi in cui il noto pornoattore –
con allusività così esibita da risultare ingenua – dice che lui “le patatine”
le ha provate tutte. Quello spot era un capolavoro di umorismo e Siffredi è una
persona seria, come cantava Elio e le storie tese “il pene gli da il pane”.
Mentre invece un belloccio fresco di galera è libero di presentarsi sulla scena
del crimine e a cadavere ancora caldo alla ricerca di un’esclusiva con “i
personaggi più interessanti”: le gemelline dell’abbraccio col fotomontaggio.
Recidivo, il nostro Corona, si era presentato esibendo banconote da 500 euro
(che per i comuni mortali sono da annoverare nella corrente artistica del
“maivismo”) dai vicini di casa di Raffaella e Youssuf: uno specialista del
casting necrofilo. Esclusiva è la morte. E il pornografo è Corona, non
Siffredi, onesto lavoratore del pene anche se catturato da un mercato fituso.
***
Se vi muore il cane o il gatto, cosa fate? Se è inverno e avete un pezzetto
di giardino e un po’ di buona volontà, è probabile che lo interrerete in una fossa
di modesta profondità. Ma se è estate, il terreno è durissimo o non disponete
di un angolo di terra? Se conoscete un cimitero per animali datemi l’indirizzo,
se sapete dove sia possibile cremarli datemi il numero di telefono, se
conoscete un funzionario dell’AS e disponete di 400 euro ditemi come si chiama
la ditta convenzionata che li incenerisce in Puglia. In tal caso dovrete pure
essere attrezzati con un congelatore perché il ritiro è settimanale, mica tutti
i giorni. Ve lo dico io dove finiscono buona parte dei vostri animaletti: nei
cassonetti. E vi sembra giusta, etica, igienica una soluzione del genere?
***
Capisco che dopo la shoa di forni crematori non se ne voglia parlare. Ma
con un po’ di calma e un po’ di ratio, mi si dica per quale motivo preferiamo
divenire cibo per i vermi piuttosto che polvere per un’urna, cenere per
nessuno. Con l’aggravante che il problema dei cadaveri comincia a somigliare
sempre di più a quello gigantesco della spazzatura: non sappiamo dove metterli,
dove metterci. Prima il Sole 24 ore con una magnifica inchiesta sul cimitero di
Poggioreale (“dopo 20 mesi dall’inumazione i cadaveri in putrefazione devono
far posto ai nuovi arrivati”), poi la stampa tutta concentrata su una donna che
s’è incatenata perché non c’era modo di seppellire il marito, dovremmo aver
realizzato che anche la morte è un business in odor di mafia e che quasi tutti
i cimiteri registrano il pienone. Insomma, vorrei essere bruciato, “cremato”
come si dice con eufemismo da dessert, e vorrei che questa semplice operazione
non provocasse un aggravio logistico e di spese sui miei familiari. C’è in
Calabria qualche amministratore che si sia posto la questione?
***
Bruciamo con noncuranza animali vivi di varie specie e grandezze,
inorridiamo quando ci scappa il morto. Se è umano. Dei non umani nemmeno ce ne
accorgiamo, sono meno di zero, non ne avvertiamo nemmeno l’odore acre di natura
non vegetale.
Bruciamo qualsiasi cosa: alberi, legna, pneumatici, spazzatura (in quel
caso si chiama termovalorizzazione), persino i cassonetti e non solo in
Campania (in questo caso si chiama vandalismo e pure diossina). Bruciamo donne
(in quel caso si chiamavano streghe), ossigeno, pirite (sdoganata dai parroci e
dai sindaci in singolare convergenza), dimentichi che almeno due volte l’anno una
qualche fabbrica di quei fuochi cosiddetti d’artificio salta per aria. Usiamo
il fuoco per camminare sui carboni ardenti (fachiri e ex giornalisti TV), per
riscaldarci, per cucinare di tutto tranne che per arrostire le nostre poco
commestibili carni. E cosa fanno i nostri ignorantissimi politicanti che si
spacciano per amministratori (“spaccio” è preciso: credono infatti
all’escalation che da consigliere comunale li porterà alla Provincia, alla
Regione, poi chissà)? Invocano gli aerei cisterna, rompono le balle a
Bertolaso, vogliono riconosciuto lo stato di calamità naturale. Quando di
naturale non c’è niente e buona parte di quei ciuccioni dovrebbero andare a
sotterrarsi, ignavi e complici come sono, da non aver mappato nemmeno gli
incendi dell’anno passato. Ci vuole – diciamo così – una faccia di bronzo
incommensurabile. A proposito, a quale temperatura fonde il culo?
Calabria Ora, 30 agosto, 2007
(non sono sicuro che sia mai uscito)
1 settembre
2007
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